Il processo penale a carico di imputati minorenni è disciplinato dal D.P.R. 22 settembre 1988 e si ispira ad alcuni principi fondamentali, richiamati anche nelle convenzioni internazionali in materia, ed è costruito, pertanto, “a misura di minore”.
Lo scopo è quello di finalizzare il processo alla responsabilizzazione e non alla punizione del minore, facilitando la riparazione dei danni e la risoluzione del conflitto generato dal reato. Specificatamente l’articolo 1 c.p.p. min[5] esprime fin dal primo comma i due principi cardine attorno ai quali verte il sistema di giustizia minorile:
- Il principio di sussidiarietà, in base al quale laddove l’Istituto processuale non trovi regolamentazione specifica in tali disposizioni normative c.d sussidiarietà fisica, si osserveranno le disposizioni contenute nel DPR 447/1988;
- Il principio di adeguatezza applicativa, detto anche da parte di alcuna dottrina sussidiarietà logica, per cui l’interprete (ovvero il giudice) è tenuto ad un’opera di adattamento che non può limitarsi al mero rinvio, ma dovrà essere valutata caso per caso l’adeguatezza delle disposizioni alle esigenze del minorenne.
In conclusione Il processo penale minorile per la sua conformazione specifica deve tendere al contemperamento dell’esigenza di accertamento del fatto di reato e di quella educativa propria del minore.